Persino in guerra, quando il fotografo deve tener conto del problema della sopravvivenza, l’arte della fotografia continua a prosperare, come dimostrano le foto esposte alla mostra di Padova. Sono foto scelte non solo perché rappresentano con eloquenza il grande spettacolo della guerra con le sue azioni terrificanti e le sue tragiche conseguenze, ma piuttosto perché sono fotografie straordinarie che hanno accompagnato l’immaginario di ogni aspirante fotografo.
Robert Capa, Henry Cartier-Bresson, August Sander, Margaret Bourke-White, Ernest Hass, Don McCullin, Eve Arnold, William Eugene Smith, Evgenij Chaldej, maestri che con le loro immagini hanno fornito al mondo una visione senza precedenti del vero significato della guerra e come questa influisca sulla vita delle popolazioni civili, come dimostrano gli scatti di Anna Maria Borghese, crocerossina e fotografa della Prima Guerra Mondiale.La fotografia di guerra, praticamente esiste dall’invenzione della macchina fotografica. Ma soltanto nel nostro secolo, con il diffondersi di pellicole rapide, obiettivi luminosi e apparecchi portatili, uomini e donne coraggiosi furono in grado di fotografare truppe e azioni.La fotografia di guerra, praticamente esiste dall’invenzione della macchina fotografica. Ma soltanto nel nostro secolo, con il diffondersi di pellicole rapide, obiettivi luminosi e apparecchi portatili, uomini e donne coraggiosi furono in grado di fotografare truppe e azioni.La fotografia di guerra, praticamente esiste dall’invenzione della macchina fotografica. Ma soltanto nel nostro secolo, con il diffondersi di pellicole rapide, obiettivi luminosi e apparecchi portatili, uomini e donne coraggiosi furono in grado di fotografare truppe e azioni.
I nomi di coloro che per primi andarono in guerra armati di macchina fotografica sono purtroppo ignoti. Non si conoscono che i risultati: alcuni dagherrotipi della guerra americana in Messico e di sfortunata ribellione ungherese. Queste immagini non ci mostrano alcuna azione, ma soltanto soldati e ufficiali in posa.
Tutto ciò premesso, non posso esimermi dal ricordare due autori storici, padri del reportage di guerra: Roger Fenton e Mathew B.Braby e brevemente citare le loro storie.
Il primo reporter di guerra di cui abbiamo notizie precise è l’inglese Roger Fenton (1829-1869) che nel 1853 fondò la Royal Photographic Society e nel 1855 ebbe l’incarico dal governo britannico di documentare fotograficamente la guerra in Crimea. Dai suoi primi resoconti degli sforzi compiuti per realizzare reportage della guerra non è difficile capire il motivo per cui, all’epoca, i fotografi riprendessero sempre e unicamente immagini di persone immobili. Fenton fece fotografie di trincee, di fortilizi semidistrutti, di campi di battaglia e di generali. A proposito degli ufficiali scrisse: “Se mi rifiuto di fotografarli non mi permettono di spostare il mio carro da una località all’altra”. Fenton per la missione in Crimea si fece costruire un carro fotografico sul quale caricò 36 casse di attrezzatura varia, che includevano 700 lastre di vetro non sensibilizzate. In quattro mesi scattò circa 360 foto in condizioni estremamente difficili.
Prima di puntare l’obiettivo su un soggetto, Fenton doveva innanzitutto pulire le lastre di vetro e spalmarle di vari prodotti chimici, mescolati con collodio, che si asciugavano fino a formare una pellicola. Poi sensibilizzava le lastre immergendole in una soluzione di nitrato d’argento fino a che assumevano un colore giallo. Quindi le inseriva, ancora umide, in un portanegativi a tenuta di luce e procedeva con le riprese. Dopo si precipitava nel suo carro adibito a camera oscura, immergeva le lastre in bacinelle contenenti altri prodotti chimici per sviluppare e fissare le immagini, le faceva passare su una fiamma per asciugare e, alla fine, le ricopriva di uno strato di vernice.
Solo dieci anni più tardi apparvero le prime vere fotografie di guerra: la guerra di secessione, ad opera di Mathew B.Brady (1823-1896). Brady, come altri suoi colleghi contemporanei, proveniva dalla pittura e si specializzò in ritratti. Nel suo studio fotografò praticamente tutte le celebrità statunitensi dell’epoca. Nel 1860 eseguì il più importante ritratto della sua esistenza. Il cliente era un famoso avvocato, dal viso magro e malinconico improntato di nobiltà e grande forza di carattere: Abraham Lincoln che più tardi dichiarò:” Furono Brady e il sindacato dei bottai che mi permisero di conquistare la carica di presidente degli Stati Uniti”
Nel 1861 inizia la guerra di secessione che durerà fino al 1865 con la capitolazione dei sudisti. Brady abbandona la sua galleria di personaggi per consacrarsi al reportage di guerra. Con l’appoggio morale –non economico- di Lincoln il fotografo si lanciò in un ambizioso progetto che lo avrebbe condotto alla rovina. Tuttavia, grazie a questo impegno tutto il mondo potè seguire , giorno dopo giorno, le fasi del conflitto. L’apparecchio di Brady immortalò tutti, dalla recluta al generale. Mise in piedi un’organizzazione colossale per l’epoca: più di venti squadre di fotografi perché fossero presenti su tutti i campi di battaglia per tutto il paese. Il materiale fotografico viaggiava in vagoni che i soldati avevano ribattezzato “What-is-it?” (cos’è?). Era così costituita la prima agenzia di corrispondenza di guerra. Tutta la stampa pubblicava le foto di Brady. Con l’aiuto delle squadre viaggianti immortalò l’incredibile marcia su Richmond del generale Grant. Terminata la guerra, per Brady iniziarono anni duri.
Per pagare i debiti fu costretto a vendere la sua collezione di copie di fotografie di guerra. Malato e in rovina, preparò un’esposizione commemorativa delle sue fotografie di guerra. Ma morì due giorni prima dell’inaugurazione.
Brady non fu soltanto lo storico più importante della guerra di secessione. Ma per quanto concerne la storia della fotografia, gli va riconosciuto il merito di essere stato il primo ad agire in presa diretta, cioè a lavorare in esterno. Sul suo esempio, migliaia di americani si dedicarono a questa nuova arte, e molti di loro divennero veri e propri maestri.
Vincenzo Bianco